Il legame tra tassi di interesse e obbligazioni

I tassi di interesse negli ultimi anni sono saliti in maniera brusca e repentina: un evento che rappresenta un “unicum” nella storia dei mercati finanziari, non tanto per l’entità dell’aumento ma per la velocità del fenomeno. La mossa delle banche centrali (le istituzioni che manovrano i tassi di interesse) si è resa necessaria per contrastare uno dei nemici più subdoli dell’economia: l’inflazione (clicca qui per approfondire).

Alla luce di tutto questo oggi voglio approfondire il legame tra tassi di interesse e obbligazioni: siamo certi che è tutto chiaro? Abbiamo capito cosa succede agli strumenti obbligazionari al variare dei tassi di interesse? La mia esperienza di consulente finanziario mi induce a pensare che qualche chiarimento non guasta. Per cui se anche a te piacerebbe approfondire l’argomento mettiti comodo che cominciamo. Come sempre con parole semplici.

Gennaio 2021

Giorgio è appena entrato in banca per acquistare un’obbligazione. Il direttore della filiale lo informa che un titolo obbligazionario a tasso fisso di alta qualità con durata 10 anni paga un tasso annuo di interesse lordo di 0,65%.

Giorgio sottoscrive l’investimento: 0,65% è comunque meglio che niente! Inoltre sa che gli investimenti obbligazionari sono molto prudenti, infatti il capitale investito gli verrà restituito alla scadenza, a meno di problemi di solidità dell’emittente; cosa molto improbabile, visto che il titolo acquistato è di alta qualità, quindi emesso da un emittente molto solido.

Giorgio riceverà ogni anno una o più cedole di interesse per un controvalore lordo totale pari allo 0,65% del capitale investito. Nel Gennaio del 2031 gli verrà restituito il capitale investito assieme all’ultima cedola di interesse lordo.

Gennaio 2024

Ginevra, molto amica di Giorgio, gli racconta di aver appena sottoscritto in banca un titolo obbligazionario a tasso fisso di alta qualità. Giorgio la informa che anche lui ha fatto lo stesso investimento tre anni prima. “Certo”, le dice sorridendo Giorgio “il rendimento dello 0,65% non è fantastico, ma è pur sempre meglio che niente!”

Ma cosa dici Giorgio?” le risponde Ginevra, “il mio investimento obbligazionario a 10 anni frutta un interesse lordo annuo del 3,75%!”. Giorgio rimane stupefatto e decide di recarsi senza indugio in banca per chiedere spiegazioni.

L’amara sorpresa

“Mio caro Giorgio, i tassi di interesse sono saliti tantissimo nei mesi scorsi, una salita così poderosa non si era mai vista!” lo informa il direttore della filiale. “Va bene, pazienza” replica Giorgio, ” adesso però voglio anch’io il 3,75%, non voglio più quel misero 0,65% annuo!”. “Non è così semplice“, lo avvisa il direttore, “adesso provo a spiegarti”. Giorgio sta per avere un’amara sorpresa, sta per conoscere il legame tra tassi di interesse e obbligazioni a tasso fisso.

Il rischio tasso

Quello che il direttore della filiale proverà a spiegare a Giorgio prende il nome di rischio tasso, uno dei principali (ma non l’unico) rischio di un titolo obbligazionario a tasso fisso. Vediamo di capirlo anche noi.

Il contratto sottoscritto da Giorgio è a tasso fisso, per cui il debitore (l’emittente del titolo obbligazionario) si è impegnato a pagare sempre lo stesso interesse per tutta la durata dell’obbligazione (nel nostro esempio 10 anni). Poco importa se i tassi sono saliti tanto: le regole del contratto non cambiamo.

Dall’aumento dei tassi trae maggiore vantaggio l’emittente dell’obbligazione, il debitore, che continuerà a pagare degli interessi più bassi di quelli di mercato. La parte svantaggiata è invece il creditore, il nostro povero Giorgio, che continuerà a percepire un interesse molto più basso di quello di mercato.

Ho un’idea geniale!” pensa Giorgio, “adesso vendo anticipatamente l’obbligazione al tasso dello 0,65% e immediatamente dopo sottoscrivo una nuova obbligazione al 3,75%! Tutto risolto, sono un genio!”

Il prezzo di un’obbligazione

Nel suo ragionamento Giorgio ha dimenticato un piccolo particolare, ahimè. Il rimborso integrale del capitale investito in un titolo obbligazionario è garantito soltanto alla scadenza del prestito, non prima (sempre fatta salva la solvibilità dell’emittente). Bada bene: un titolo obbligazionario è vendibile prima della sua scadenza, ma la compravendita avverrà al prezzo di mercato di quel determinato momento.

Sebbene di norma il prezzo di rimborso è per convenzione pari a 100 – per indicare che il titolo verrà rimborsato per intero (rimborso alla pari) – prima della scadenza il prezzo può essere maggiore di 100 (rimborso sopra la pari) o inferiore a 100 (rimborso sotto la pari).

Nel primo caso vendendo il titolo realizzeremo un guadagno extra oltre al capitale, nel secondo caso, viceversa, realizzeremo una perdita. Per fare un esempio concreto vendendo il titolo a 105 realizzeremmo un guadagno del 5%, vendendo il titolo a 95 realizzeremmo una perdita del 5%.

Il momento della verità

Avrai intuito che se Giorgio decidesse di vendere anticipatamente il suo titolo obbligazionario con cedola fissa pari allo 0,65% e scadenza Gennaio 2031, ricaverebbe meno di quanto originariamente investito, ma quanto meno? E’ appena entrata in banca Chiara, anche lei in procinto di acquistare un’obbligazione. Chiara ci aiuterà a capire quanto vale oggi l’obbligazione che Giorgio intende vendere.

“Mia cara Chiara”, sorride il direttore della filiale “so che vuoi acquistare un titolo obbligazionario di alta qualità a tasso fisso, ti propongo due alternative:

  • puoi sottoscrivere un titolo a 10 anni di nuova emissione che paga un interesse annuo lordo pari al 3,75%;
  • in alternativa puoi acquistare il titolo che il nostro cliente Giorgio è intenzionato a vendere: si tratta di un titolo che scadrà nel Gennaio 2031, quindi tra circa 7 anni e che paga un interesse annuo lordo dello 0,65%;

“Direttore, ma che alternativa è mai questa? non c’è alcun dubbio che mi conviene la prima ipotesi!”

Ma siamo davvero sicuri?

Il rendimento equivalente

Secondo te esiste una condizione affinché Chiara scelga di acquistare il titolo obbligazionario che Giorgio intende vendere? La risposta è si: Chiara sarà disposta ad acquistare sul mercato il titolo di Giorgio soltanto se tale soluzione le offrirà un rendimento equivalente all’obbligazione nuova di zecca.

Ma come può un titolo con cedola annua dello 0,65% offrire un rendimento equivalente ad un titolo con rendimento annuo del 3,75%? La risposta se ci pensi è semplice: acquistandolo ad un prezzo inferiore, ad un prezzo che renda il rendimento nel suo complesso equivalente.

Facendo un pò di calcoli scopriremmo quindi che Chiara potrebbe valutare di acquistare il titolo di Giorgio soltanto se lo stesso è disposto a venderglielo subendo una perdita in conto capitale di circa il 20% (trattasi di un valore approssimato, al solo scopo di far passare il concetto; per ottenere il valore esatto occorrerebbe effettuare quella che in matematica finanziaria prende il nome di attualizzazione).

La nostra amica Chiara, sommando le cedole annue e il guadagno finale sul capitale, otterrebbe un rendimento equivalente, in linea con le attuali condizioni di mercato.

Il rischio emittente

Abbiamo quindi scoperto due regole importanti che scaturiscono dal legame tra tassi di interesse e obbligazioni:

  1. Il prezzo di un titolo obbligazionario varia in funzione delle variazioni dei tassi di interesse, in maniera inversamente proporzionale: se i tassi di interesse di mercato salgono il prezzo di negoziazione di un’obbligazione a tasso fisso scende e viceversa;
  2. Abbiamo altresì scoperto che tale variazione di prezzo è legata anche alla durata, o meglio alla vita residua del titolo obbligazionario: più è lunga la vita residua del titolo maggiore sarà l’oscillazione del prezzo al variare dei tassi di interesse.

Oltre al rischio tasso c’è però un altro fattore importante da tenere in considerazione, quello legato alla solidità dell’emittente. Cosa succede infatti, secondo te, se la solidità di un emittente dovesse peggiorare successivamente all’emissione dell’obbligazione?

Credo che hai intuito la risposta: se la solidità dell’emittente peggiora aumenta il rischio che alla scadenza il titolo non venga rimborsato, per cui diminuisce il prezzo del titolo sul mercato, anche se i tassi di interesse non sono variati.

Conclusioni

Tutte le obbligazioni emesse vengono giornalmente prezzate nel mercato secondario, il luogo virtuale in cui è possibile effettuare compravendite giornaliere di titoli prima della loro naturale scadenza. Per cui nel nostro esempio Giorgio e Chiara non dovranno fare alcun calcolo, sarà sufficiente accedere al mercato obbligazionario e verificare qual è, in tempo reale, il prezzo di mercato del titolo obbligazionario di Giorgio.

Quel prezzo terrà conto di tutto, perché il mercato è efficiente, per cui incorporerà sia il rischio tasso sia il rischio emittente così come altri rischi cui l’obbligazione può andare in contro (ad esempio il rischio valuta per obbligazioni emesse in valute diverse dall’euro).

Voglio concludere con una considerazione a mio avviso opportuna: se è vero che in uno scenario di tassi di interesse in salita il prezzo degli strumenti obbligazionari a tasso fisso ne risente negativamente, è vero anche il contrario. Se i tassi di mercato sono alti e le previsioni sono di tassi futuri stabili o in discesa questo si ripercuote positivamente sui prezzi delle obbligazioni a tasso fisso.

Adesso spero ti sia maggiormente chiaro il legame tra i tassi di interesse e le obbligazioni. Nel prossimo articolo proveremo a fare chiarezza sul funzionamento dei fondi comuni di investimento obbligazionari.

Ciao, alla prossima!

Graduale ritorno alla normalità

A distanza di circa 18 mesi dalle prime avvisaglie di aumento sensibile dell’inflazione in Europa e negli Stati Uniti e a poco più di un anno dallo scoppio della guerra in Ucraina proviamo a fare il punto della situazione dal punto di vista di cui mi occupo, quello finanziario. Stiamo assistendo ad un graduale ritorno alla normalità: in che senso? Continua a leggere, ne parliamo oggi, come sempre con parole semplici.

Mutui e prestiti all’incontrario

Buongiorno signori Rossi, abbiamo appena perfezionato il mutuo per l’acquisto della vostra prima casa. Mentre voi pagherete mensilmente le rate per restituire il capitale la Banca vi pagherà gli interessi. “Direttore, mi scusi, ma non dovremmo pagarli noi gli interessi alla Banca?”, chiedeva stupito il signor Rossi!

Il finanziamento è stato approvato: cara signora Verdi ecco la sua nuova auto fiammante: ce la pagherà in 60 comode rate, mentre noi le pagheremo gli interessi! “Gli interessi li pagate voi? Non li pago io?” esclamava basita la signora Verdi!

Sebbene gli esempi esposti sembrino comici ed assurdi, ti assicuro che per più di 10 anni è stato esattamente così: chi chiedeva soldi in prestito (il debitore) ed aveva una buona reputazione (che in gergo finanziario si chiama rating) non soltanto non pagava nulla ma anzi otteneva il pagamento di un tasso di interesse: il mondo all’incontrario!

Se il debitore rideva…

Va da sé che quello scontento nella trattativa era il creditore, che non soltanto prestava i propri soldi ma era pure costretto a pagare per farlo! E’ accaduto regolarmente fino a qualche mese fa: era il mondo dei tassi negativi!

La tabella è aggiornata al Gennaio 2021, quindi soltanto 2 anni fa. Mostra il rendimento che veniva offerto dai titoli obbligazionari governativi dei principali Paesi in relazione alla loro durata.

Acquistare ad esempio un titolo obbligazionario governativo a 10 anni tedesco, che in pratica vuol dire prestare i propri soldi al governo della Germania, “costava” lo 0,52% all’anno. In sintesi non soltanto la Germania intascava i soldi che gli venivano prestati a costo zero, ma percepiva pure un pagamento dai prestatori di danaro.

Il mondo delle obbligazioni sta guarendo

La medicina da mandare giù è certamente amara, ma finalmente assistiamo ad un graduale ritorno alla normalità.

L’inflazione robusta che si è manifestata di recente in Europa ed in America ha costretto le Banche Centrali dei due Paesi ad alzare in maniera rapida e decisa i tassi di interesse, con due importanti ripercussioni sul mondo dei titoli obbligazionari:

  1. le valutazioni dei titoli emessi prima di tale rialzo hanno subito un calo delle valutazioni dovuto semplicemente al fatto che il rendimento che offrono oggi è diventato meno attraente (clicca qui per approfondire);
  2. il rendimento dei titoli obbligazionari di nuova emissione è tornato positivo. Finalmente, aggiungerei io: chi presta i propri danari ha nuovamente diritto ad ottenere un rendimento, un tasso di interesse.

I nuovi rendimenti obbligazionari sono positivi, o no?

Il rendimento di un titolo di Stato italiano a 5 anni (noto come BTP, Buono del Tesoro Poliennale), nel Gennaio del 2021 era pari a -0,02% (in pratica era nullo, come si evince dalla tabella su esposta). Nel momento in cui sto scrivendo questo articolo il rendimento di un BTP italiano a 5 anni è del 4,035%, diciamo per semplificare del 4%. Per un risparmiatore che decide di acquistare oggi questo titolo di Stato è quindi un’ottima notizia, giusto?

La risposta è NI! Certo, oggi chi presta dei soldi allo stato italiano per 5 anni riceve un interesse del 4% (al lordo della ritenuta fiscale). Non dimentichiamoci però che siamo ancora in presenza di una forte inflazione, a Febbraio 2023 pari in Italia a circa il 9%.

Per cui la vera domanda è: meglio ottenere un rendimento nullo a fronte di un tasso di inflazione dello 0,4% (questa era l’inflazione italiana nel Gennaio 2021), oppure ottenere un tasso di interesse del 4% a fronte di un tasso di inflazione del 9%?

Rendimento nominale e rendimento reale

Diciamo così: se ci concentriamo sul rendimento nominale, questo oggi è di gran lunga più elevato rispetto a due anni fa. Se invece poniamo l’attenzione sul rendimento reale (al netto dell’inflazione di periodo) era preferibile il rendimento reale pressoché nullo del Gennaio 2021 rispetto al rendimento reale negativo di oggi (rendimento pari al 4% dal quale bisogna sottrarre un’inflazione di circa il 9%). E quindi?

La lotta all’inflazione

Ti ricordo un aspetto importante: il rialzo dei tassi a cui stiamo assistendo ha come unico obiettivo quello di far scendere l’inflazione, e vi sono già parecchi segnali che qualcosa si sta finalmente muovendo in questa direzione. Per cui è auspicabile che quanto prima l’inflazione abbassi la cresta e cominci la sua discesa verso livelli fisiologici.

Ecco: quello sarà il momento in cui il mondo obbligazionario tornerà finalmente ad offrire rendimenti reali positivi. E sembra non essere troppo lontano all’orizzonte.

Ciao, alla prossima.

L’inflazione in parole semplici

Oramai la sentiamo dappertutto, più dei tormentoni dell’estate. Ne parlano tutti, non soltanto gli addetti ai lavori. La leggiamo sui giornali, la ripetono i notiziari, se ne discute ovunque. Sto parlando dell’inflazione, oggi in rapido aumento. Troppo spesso a mio avviso chi ne parla dà per scontato che tutti conoscano bene il fenomeno e le sue conseguenze. Poiché a me piace non dare nulla per scontato, oggi ti spiego l’inflazione in parole semplici. Vedremo cos’è l’inflazione e quali sono le cause e le conseguenze di una sua crescita generalizzata.

Il significato

Il termine inflazione deriva dal latino inflare, che vuol dire gonfiare. Indica l’aumento prolungato del livello generalizzato dei prezzi di beni e servizi. Viene espressa in percentuale e pertanto l’inflazione esprime il tasso al quale aumentano i prezzi di beni e servizi. Vediamo di capirlo con un esempio.

Se il mese scorso avevi acquistato una barretta di cioccolato pagandola 1 euro e oggi paghi la stessa identica barretta di cioccolato un euro e 5 centesimi, vuol dire che il prezzo della barretta di cioccolato è cresciuto da un mese all’altro del 5%. Quando questo fenomeno riguarda la gran parte dei beni e servizi (si tratta quindi di un aumento generalizzato) e tale aumento persiste per un periodo di tempo prolungato, vuol dire che siamo in presenza di inflazione.

Il valore reale del tuo stipendio è inferiore: è diminuito il potere d’acquisto della moneta. In che senso?

Semplice: se tutti i prezzi sono aumentati mediamente del 5%, ma il tuo stipendio non è variato, potrai acquistare meno beni e servizi del mese precedente. Se per assurdo ipotizzassi di spendere tutto il tuo stipendio pari a 1.500 euro in barrette di cioccolato, lo scorso mese avresti potuto acquistare 1.500 barrette, mentre questo mese dovrai accontentarti di 1.428 barrette ed un resto di 60 centesimi. Un’ottima notizia per il tuo dietologo e per il tuo dentista. Una cattiva notizia per te.

Le principali cause dell’inflazione

Per capire le cause che stanno alla base dell’aumento dell’inflazione dobbiamo rispolverare la più antica legge di mercato, quella che riguarda domanda e offerta.

Quando esci per andare al supermercato ad acquistare una barretta di cioccolato tu rappresenti la domanda: chi acquista un bene o un servizio esprime la domanda. Viceversa l’azienda che produce la barretta di cioccolato rappresenta l’offerta: chi vende un bene o un servizio rappresenta l’offerta. Fin qui penso tutto chiaro.

Inflazione da domanda

Immaginiamo quindi che ogni giorno vengano prodotte un milione di barrette di cioccolato e che queste vengano tutte acquistate dai consumatori al prezzo di un euro ciascuna. Se domani per vari motivi le barrette prodotte sono di meno si genera uno squilibrio tra domanda e offerta. Ci sono meno barrette di quelle che la gente intende acquistare.

Quando la domanda supera l’offerta inevitabilmente il prezzo sale: quel bene diventa più scarso, più difficile da trovare, in un certo senso quindi più prezioso e la gente è disposta a pagare di più pur di accaparrarselo.

Inflazione da aumento dei costi

Se un’azienda produttrice di un bene o di un servizio si trova ad affrontare un rialzo dei costi di produzione non potrà fare altro che riversare questi aumenti sul prezzo finale del bene o servizio prodotto. In questo caso quindi l’inflazione sarà causata dall’aumento dei costi di produzione.

Inflazione da politica monetaria accomodante

Partiamo dal capire cos’è una politica monetaria accomodante. Molto semplicemente consiste nella scelta di immettere maggiori quantità di denaro in circolo nell’economia di un Paese. A seguito di una politica monetaria accomodante il costo del denaro diminuisce, pertanto diventa molto più economico prenderlo in prestito (mediante mutui o prestiti).

E’ quello che hanno fatto sia l’Europa che gli Stati Uniti dopo la crisi finanziaria del 2008. Lo scopo di aumentare l’ammontare di denaro in circolazione è quello di rilanciare l’economia. Fin qui tutto bene, ma qual è la conseguenza a lungo termine? Semplice: se la gente ha molto più denaro da spendere aumenterà la domanda di beni e servizi. Ma come abbiamo già visto l’aumento della domanda genera l’aumento dei prezzi, genera inflazione.

Le conseguenze dell’inflazione

L’inflazione ha molteplici effetti sulla vita delle persone, proviamo a riassumerli.

Redistribuzione del reddito

Chi percepisce degli stipendi fissi viene maggiormente penalizzato dall’aumento dell’inflazione. Infatti gli stipendi vengono adeguati sporadicamente, soltanto in presenza di adeguamenti contrattuali. Se tutti i prezzi aumentano ma gli stipendi rimangono fissi, il potere d’acquisto dello stipendio diminuisce.

Chi invece percepisce redditi variabili all’aumentare dell’inflazione potrà aumentare di conseguenza i compensi richiesti per le prestazioni erogate. E’ il caso ad esempio di lavoratori autonomi, professionisti etc.

Debitori vs. creditori

Strano a dirsi ma l’inflazione è una buona notizia per i debitori, mentre rappresenta viceversa una cattiva notizia per i creditori.

Se infatti durante la vita del prestito o del mutuo aumenta l’inflazione come abbiamo visto diminuisce il potere d’acquisto della moneta, pertanto il debitore restituirà una somma di denaro nominale invariata rispetto a quella che aveva preso a prestito, ma con un potere di acquisto inferiore a causa dell’aumento dell’inflazione.

Effetti sulla produzione

Un’azienda produttrice può beneficiare dall’aumento dell’inflazione. Se infatti acquista manodopera e materie prime in un momento di bassa inflazione e poi vende il ricavato della produzione in un momento successivo caratterizzato da inflazione più alta, potrà vendere il suo prodotto ad un prezzo maggiore, ricavando quella che viene definita “rendita di inflazione”.

A lungo andare però anche l’attività di impresa viene penalizzata, poiché da un lato la gente inizierà a consumare meno; dall’altro lato i tassi di interesse inizieranno a crescere e quindi le aziende potranno indebitarsi meno.

Esportazioni ed importazioni

Le esportazioni vengono danneggiate in quanto l’aumento dei prezzi dei prodotti scoraggia l’acquisto da parte di acquirenti esteri. Viceversa però le importazioni dall’estero diventano più convenienti.

Effetti sui risparmi e sugli investimenti

In conclusione proviamo ad analizzare gli effetti dell’aumento dell’inflazione sui risparmi e sugli investimenti.

L’inflazione generalmente penalizza i risparmiatori che mantengono le somme liquide sul conto corrente (clicca qui per approfondire) o che hanno sottoscritto strumenti obbligazionari a tasso fisso a lunga scadenza. Nel primo caso il saldo del conto corrente viene costantemente eroso in termini reali; nel secondo caso le cedole fisse dell’investimento obbligazionario varranno sempre meno all’aumentare dell’inflazione nel tempo.

Un portafoglio di investimento ben diversificato ha invece molte armi per contrastare l’inflazione. Le azioni, soprattutto di società che possono aumentare i prezzi dei loro prodotti, rappresentano un ottimo antidoto nel lungo periodo. Analogamente le obbligazioni a tasso variabile o indicizzate all’inflazione sono in grado di contrastare l’effetto negativo dell’aumento dei prezzi. Infine anche attività legate alle materie prime possono offrire protezione dall’inflazione all’investimento.

Ciao, alla prossima.